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Android OS: l’ecosistema open source dalle origini ad oggi

Origini android os

Android, l’OS open source che alla fine del 2014 è stato scelto dal 76,6% dei dispositivi mobili venduti nel mondo, è nato nel 2003 come un sistema operativo specifico per telefoni intelligenti o smartphone di tipo ‘open source’, aperto e dal codice modificabile da qualsiasi sviluppatore. OS come operative sistem (sistema operativo) e os come open source (sorgente aperta). Lo sviluppo del robottino verde, diventato di proprietà di Google soltanto nel 2005, è destinato ai dispositivi mobili come gli altri, iOS e Windows Phone. Nel 2005, Big G acquisì insieme ai dipendenti e ai fondatori di Android anche l’azienda che iniziò in progetto, Android Inc.

Il nome Android divenne popolare, o meglio ufficiale, soltanto alla fine dell’anno 2007 mentre veniva preparato il lancio sul mercato del primo dispositivo intelligente che funzionava con questo OS, l’HTC Dream/T-Mobile G1, che fu commercializzato ad ottobre del 2008. Il codice di sorgente di Android è open source, aperto quindi a qualsiasi sviluppatore voglia studiarlo, modificarlo, estenderlo e personalizzarlo.

Android Wear
Android Wear

 Nonostante questa ampia accessibilità concessa a tutti di Android (e del kernel Linux su cui si basa), gli sviluppatori in testa alla classifica restano Google e il consorzio di aziende Open Handset Alliance composto dai principali nomi di produttori di telefonia mobile (Samgung, LG, Sony, Motorola, HTC, Huawei, ecc.) oltre ai colossi che producono componenti (come Qualcomm, Nvidia, ARM), i massimi operatori telefonici (Telecom Italia, Vodafone China Mobile, ecc.) e le società che sviluppano software (Google, Nuance, Ebay).

La caratteristica principale di Android, il fatto di essere open source, è quella che contrasta con il closed source (lo sviluppo di software proprietario) i cui codici sorgenti restano segreti commerciali inaccessibili, chiusi: l’esempio più rappresentativo è dato da iOS. Seppure lo sviluppo Android resti aperto, è Google comunque ad avere la supervisione della sua piattaforma, a decidere quale direzione deve prendere, le caratteristiche delle nuove versioni, cosa scartare.

Sotto la supervisione di Big G nel 2011 nacque la versione Honeycomb per i tablet e sotto la sua guida nel 2014 ha esordito Android Wear per gli indossabili. Allo stesso modo e grazie alle direttive del colosso di Mountain View, è stata sviluppata poi la piattaforma Android Tv per la Tv intelligente: lo stesso dicasi per il debutto di quest’anno di Android Auto, che consente al cruscotto dei veicoli d’interagire con gli smartphone del robottino verde.


Il meccanismo (aperto ma non troppo) di Android è questo: Google termina lo sviluppo di una versione, dopodiché pubblica gran parte del codice dando modo ad operatori telefonici, produttori di dispositivi mobili e sviluppatori di app di modificarlo e ridistribuirlo. Ecco che nascono forme diverse di Android nei dispositivi Nexus (per i quali Big G sceglie, di volta in volta, quale produttore può curarne le varie versioni) e in quelli Samsung, LG, HTC, ecc.

Google Tv

Proprio perché ogni azienda può modificare e personalizzare il sistema operativo con interfacce diverse secondo gusti e necessità di ognuno. Dalla personalizzazione di Android si può arrivare a versioni estreme, sempre basate su questo OS: l’esempio più esagerato è Fire OS, destinato ai tablet di Amazon, che parte da Android e si sviluppa in modo del tutto indipendente e non associato alle app di Google.

La filosofia open source di Android stabilita da Google è stata, fin dall’inizio, un suo tentativo ben riuscito di attirare l’attenzione dei maggiori produttori e operatori del settore e di spingerli ad usare il suo sistema operativo. L’obiettivo è stato ampiamente raggiunto se pensiamo che, secondo quanto ha riportato lo studio IDC, a fine 2014 il 76,6% dei dispositivi venduti avevano a bordo Android. La natura open source di Android si rivela quindi strategica, ha un obiettivo ben preciso, non è del tutto libera: il marchio del robottino verde è, ovviamente, concesso su licenza commerciale e molte app preinstallate nei dispositivi Android sviluppate da Google non sono ‘aperte’ (tra queste, ricordiamo l’integrazione con Google Maps e Google Drive, Google Wallet per i pagamenti mobili).

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Ultimamente, è stata sviluppata la versione 5.1, destinata a tutti i dispositivi Android 5.0 Lollipop ma concepita soprattutto per Android One, ovvero per gli smartphone dei mercati emergenti (nello specifico, indiano e indonesiano). Con Android One Big G stabilisce le caratteristiche hardware dei device, offre una versione stock del sistema operativo che non consente di modificare l’interfaccia ed esegue direttamente gli aggiornamenti più sensibili dell’OS (riguardanti la sicurezza e i protocolli inerenti la comunicazione degli operatori), dando così anche ai mercati emergenti la possibilità di acquistare smartphone con buone prestazioni a prezzi accessibili, senza subire la cosiddetta frammentazione. E chissà se, in futuro, Google non abbia intenzione di destinare questa versione anche ai mercati in cui si è già ampiamente imposto.


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